© Julia
Bolton Holloway, Sweet New Style: Brunetto Latino,
Dante Alighieri, Geoffrey Chaucer, Essays, 1981-2012,
tradotto ADA, 2012.
EPILOGO
DANTE IN ATTICA
BOEZIO ESULE,
DANTE PELLEGRINO
l 15 ottobre del 1981,
quattro studiosi di Dante, William Stephany, Rachel Jacoff,
William E. Gohlman e chi scrive, si ritrovano, su invito della
State University dell’University College of Arts and Sciences
di New York a Geneseo e del Genesee Community College,
all’Attica Correction Facility, (Carcere di massima sicurezza) nell’ambito di un
programma di recupero educativo. Ronald Herzman e William Cook
nell’introduzione al convegno, dal titolo ‘Learning in Exile:
Dante in Attica’, per ricordare
William Stephany della University of Vermont, il primo a presentare il suo intervento, ‘Esuli di Dante’, tratta del parallelismo in Dante tra Pier delle Vigne - il prigioniero suicida che Dante incontra nell’Inferno trasformato in albero, spezzandone i cui rami sanguina e parla - e Romeo, il pellegrino in Paradiso. Ingiustamente accusati entrambi per colpe non commesse, come lo stesso Dante, reagiscono rispettivamente l’uno con il suicidio in prigione, l’altro lasciata la corte e senza denaro con il pellegrinaggio, con se portando il suo bordone e il suo mulo. Rachel Jacoff del Wellesly College presenta un intervento su ‘Dante e Virgilio’, sottolineando quanto straniero e profondamente pagano fosse Virgilio, che sepppur strumento di salvezza per Dante è nondimeno condannato all’Inferno per l’eternità. L’ultimo intervento di William E. Gohlman della State University College of Arts and Sciences a Geneseo, su ‘Dante e l’Islam, suscita un grande interesse negli uditori, molte dei quali sono Musulmani Neri. William Gohlman sottolinea l’universalità del credo islamico, il suo rispetto verso Giudaismo e Cristianità - i ‘Popoli del Libro’ - l’interesse di Dante per l’Islam.
Il mio intervento, ‘Boezio Prigioniero, Dante Esule’ è il secondo. Nel leggere oggi le mie parole di allora, immaginatevi non su una comoda sedia nel vostro studio ma piuttosto tra quegli uditori. Un pubblico composto di giovani ergastolani inseriti in un programma di recupero, in una stanza con sbarre alle finestre, con le guardie in divisa - molte delle quali assai incredibilmente sono donne, e ancora più sorprendentemente non armate – e che stando dietro provano risentimento del vostro privilegio di poter ascoltare questa conferenza. (Guardie con mitragliatrici presiedono le torrette esterne gotico-disneyiane, ma dall’epoca della rivolta non sono più armate le guardie nel corpo principale della prigione, costruita in stile romanico e simile ad una profonda voragine e ad una fortezza). La conferenza è continuamente interrotta dai rumorosi comandi dei walkie-talkie, dalle guardie che, con un numero e non per nome, chiamano i reclusi. Si irrigidiscono tutti all’istante, fanno resistenza, salvo poi obbedire abbandonando la stanza.
Boezio Prigioniero, Dante Esule
arebbe
semplice presentare questa conferenza fuori da questo
luogo. Nel contesto di una prigione la trovo un’esperienza
umiliante ed al contempo di grande intensità. Davanti a
questo pubblico percepisco un senso di inadeguatezza, e,
tuttavia, che quanto dirò è più significativo qui che non
se fosse pronunciato nel contesto più ordinario di
un’altra istituzione.
Vorrei
aprire questo mio intervento raccontando una storia accaduta in
Italia a Roma. Mi trovavo in quella città, quando i
Cardinali italiani elessero al pontificato Giovanni XXIII,
persona già avanti negli anni e di origini contadine, che
avrebbe preso proprio alla lettera il Vangelo. Io stessa
un mattino udivo per le strade di Roma, gli italiani dirsi
l’un l’altro: ‘Sai cosa ha fatto il Papa stamattina’? ‘E’
andato a ‘Regina Coeli’ a visitare i carcerati’. Regina
Coeli significa ‘Prigione della Regina del Cielo’,
‘Prigione della Vergine Maria’, un bel nome, come lo
stesso Attica, per un luogo orribile. Tutti i Romani sono
felici per quello che il Papa ha fatto. Obbedendo al
precetto di Cristo e visitando i carcerati pareva voler
dire con il suo gesto che persino chi si fosse macchiato
del più grave peccato aveva la possibilità di essere
perdonato dal Santo Padre. Quella mattina questo rendeva
tutti felici. Ciascuno poteva perdonare se stesso. Una
foto molto amata di Papa Giovanni XXIII lo mostra con un
carcerato che indossa il pigiama a righe nel carcere di
Regina Coeli.3
È soprattutto per ragioni politiche che Socrate è imprigionato e giustiziato. Sempre per ragioni politiche, esiliato da Roma, lo fu Boezio. Dante cresce a Firenze, molto impegnato nella ‘vita politica’ della città (parola che letteralmente vuol dire ‘negli affari’ della città) costretto all’esilio quando la sua fazione politica perde potere. Sia Boezio sia Dante conoscono prima il successo, poi l’amarezza del fallimento. Ambedue trovano consolazione nei loro scritti, nelle loro opere. Poi di consolazione per i loro lettori.
Il pellegrino ed esule cristiano eredita sia il concetto di straniero ed esule della cultura greca - dello straniero e dell’esule visto sotto la sacra protezione di Zeus - sia quello legato alla tradizione giudaica di Caino che uccide il fratello Abele. Il Signore mise un segno su Caino perché nessuno trovandolo lo uccidesse, lui errante e pellegrino sulla terra. Vediamo di come comunemente questi segni venissero impressi sulla fronte nel racconto di Boezio sui suoi accusatori, Opilione e Gaudenzio, 4, ed anche nel Canto IX del Purgatorio, quando con la punta della spada l’angelo incide sulla fronte di Dante le sette P che stanno a significare i sette peccati mortali da lui commessi. Espiati nei sette cerchi del Purgatorio, le sette P sono poi via via cancellate dalla piuma di un angelo. 5 I pellegrini portano questi segni come marchio d’infamia e, tuttavia, paradossalmente, la loro funzione è anche quella di protezione contro il male che poteva loro essere fatto. Un'altra storia, nel Vangelo di Luca 24, narra di Cristo stesso che straniero, sotto le mentite spoglie di pellegrino, non è riconosciuto dai due discepoli in cammino con lui. Per questo racconto il mondo medievale vide lo straniero, il pellegrino, come fosse Cristo sotto mentite spoglie, anche se come Caino fosse stato un assassino. Dante si riferisce a questa storia in Purgatorio XXI. La regola medievale stabilisce che nessun pellegrino poteva essere ucciso, pur se egli stesso un assassino; fosse stato ucciso, il suo assassino doveva a sua volta all’istante essere ucciso. È questo il motivo per cui in Dante, Dante stesso e Virgilio sono nel loro pellegrinaggio pellegrini che incontrano altri pellegrini; nel Purgatorio tutti espiano le proprie colpe, nell’Inferno sono esiliati e impenitenti. Dannati per l’eternità.
Mentre nel silenzio andavo
rimuginando tra me e me queste riflessioni, e annotavo,
scrivendo il mio lacrimevole lamento, mi sembrò che sopra
il mio capo fosse apparsa una donna di aspetto venerando,
dagli occhi sfolgoranti e penetranti oltre la comune
capacità degli uomini. Il suo colorito era vivo e integro
il suo vigore, benché ella fosse tanto carica d’anni da
non potersi credere in nessun modo appartenente al tempo
nostro. La sua statura era di ambigua valutazione. Ora
infatti si manteneva nei limiti della normale statura
degli uomini, ora invece sembrava toccare il cielo con la
sommità del capo . . . Nel lembo inferiore del vestito si
poteva leggere ricamata una π greca, in quello superiore,
invece, una θ (l’attività pratica del pensiero e
l’attività teoretica, filosofia pura ed applicata, le
lettere sono il Pi greco e la lettera theta) e tra le due
lettere apparivano disegnati in figura di scala alcuni
gradini per mezzo dei quali era possibile risalire dalla
lettera inferiore a quella superiore. 7
I
manoscritti medievali di questa scena raffigurano in una
miniatura
I due
dialogano insieme. Boezio, il prigioniero è descritto come
vinto dalla sua disperazione, stoltezza, e
autocommiserazione. Donna Filosofia, in realtà un lato di se
- in greco il suo nome significa ‘Amore per la sapienza’ - è
descritta come sapiente, equilibrata, ottimista, come colei
che guarda al lato luminoso delle cose. Nell’opera
letteraria i due caratteri sono in realtà due lati della
personalità di Boezio stesso, il lato ostinato, disperato, e
autodistruttivo, e il lato saggio, creativo, pieno di
speranze. L’uno che agisce come uno studente stolto, l’altro
come un aspirante maestro, sapiente, tollerante, indulgente.
Questa è in realtà un’opera da cui trarre ammaestramento,
consolazione, aiuto. Insegna ai lettori a scegliere di farsi
beffa della loro autocommiserazione e respingerla. Boezio
presenta un dialogo tra il lato stolto e il lato sapiente di
se stesso, trascorre il più del tempo con
Poi
ella gli insegna ad apprezzare ‘l’amore che governa la terra
e il mare ed esercita il suo dominio sul cielo,’ 11 una frase che sarà
echeggiata, riflessa, e sempre più ripetuta nelle ultime
righe dell’Inferno,
del Purgatorio,
del Paradiso,
culminando ‘nell’amore che move il sole e l’altre stelle’
del Paradiso
XXXIII.146. Parla poi del Fato, i cui altri nomi sono Sorte,
donna Fortuna, ed il suo opposto, o forse, contrario,
Libertà. Questi contrari ella eguaglia al cerchio e al
centro. Per
Ti prendi gioco di me
– domandai – costruendo con i tuoi ragionamenti un
inestricabile labirinto, di modo che ora entri per dove
dovresti uscire, ora invece esci per dove sei entrata,
oppure vuoi complicare quella che è, per così dire, la
meravigliosa sfera della semplicità divina? Poc’anzi,
infatti, iniziando il tuo ragionamento dalla felicità,
affermavi che essa coincide con il sommo bene, e dicevi che
è riposta in Dio sommo. . . . Sostenevi anche Dio governa
l’universo con il timone della bontà, che tutti gli uomini
ubbidiscono volontariamente e che non esiste un’essenza del
male. E questo lo spiegavi fondandoti non su elementi
esteriori, ma su prove interiori . . . e concatenate in modo
da confermarsi l’un l’altra.
E
E come tra più cerchi concentrici rotanti intorno ad
una medesima orbita, il più interno si accosta alla semplicità
del punto centrale . . . mentre il cerchio più esterno,
rotando in un più ampio circuito, allarga la sua orbita negli
spazi tanto quanto più si allontana dall’indivisibile
punto centrale. Se poi a questo centro si connette qualcosa
anch’essa diviene semplicità non più tendendo a disperdersi
nello spazio. In modo analogo, ciò che maggiormente si
allontana dalla prima mente più si avviluppa ai lacci del
Fato; viceversa, ciascuna cosa è più libera dal Fato quanto
più si avvicina al centro di tutte le cose. E se essa si
attacca con saldezza alla mente suprema, è immune dal moto
trapassando la necessità del Fato. Dunque, come il mutevole
corso del Fato sta alla stabile semplicità della Provvidenza .
. . il tempo sta all’eternità, il cerchio al suo centro.
14
Dante prima dell’esilio si serve di questa immagine
del cerchio e del centro nella Vita
Nuova, a lui appare qui Amore che gli dice queste
parole: ‘Io sono come il centro del cerchio, in rapporto al
quale stanno in modo identico i punti della circonferenza;
tu invece no’. Nella Commedia l’immagine del cerchio e del
centro è somma. Amo in particolare un esempio, che Dante
riprende da un verso di Virgilio, intorno ai riflessi di
luce dell’acqua in un vaso d’oro paragonabili al fluttuare
dei pensieri che affollano la mente. Ma qui egli parla della
relazione tra l’uomo e Dio come di una comunicazione a due
sensi, dal centro al cerchio e dal cerchio al centro, in un
mutuo rapporto di vicinanza. In Paradiso XIV, Dante dice:
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro,
movesi l’acqua in un ritondo vaso,
secondo ch’è percossa fuori o dentro:
Sapevo dei
cerchi concentrici sulla superficie di uno stagno increspato,
ma non dell’altro moto che dal cerchio si espande al centro.
Studiando Dante per il mio dottorato e incontrando questo
verso chiedo ai miei figli e presa la nostra grande ciotola
per fare il pane verifichiamo. Si, Dante ha ragione quando la
parte esterna della ciotola è colpita i cerchi concentrici
dell’increspatura dell’acqua si incontrano al centro.
Torniamo ora
ai versi precedenti alla fine di Paradiso XIII:
Non creda donna Berta e ser Martino
per vedere un furare, altro offerere,
vederli dentro al consiglio divino;
ché quel può surgere, e quel può cadere.
Queste nel
poema le parole pronunciate da Tommaso d’Aquino. L’immagine
del vaso di Dante, in parte ripresa da Boezio, è il pensiero
che gli corre in mente nel cercare
di capire la paradossale affermazione del teologo, che senso
non sembrava avere. Il testo di Dante parla del buon ladrone
e del filantropo ipocrita. Uno è Dismas
(il Buon Ladrone), l’altro Epulone che froda gli esattori
delle tasse.
Molti
aspetti della Commedia
sono un riflesso del pensiero di Boezio nella Consolation. Nella
struttura stessa della Commedia, l’Inferno è la
regione del Fato,
Prima,
Cicerone scrive un’opera intitolata il Sogno di Scipione.
15 Opera conosciuta e amata
sia da Boezio sia da Dante. Boezio cita da quest’opera
quando parla della piccolezza della terra in contrasto con
il resto del cosmo: ‘Come sai dalle dimostrazioni degli
astrologi l’intera sfera della terra ha ragione verso lo
spazio del cielo di un punto; cosicché se la si confronta
con la grandezza del globo celeste non può essere
considerata avere spazio alcuno’. 16 Dante conosceva questo
asserto circa la ‘piccolezza della terra inghirlandata
dall’Oceano’ in Cicerone e in Boezio. Eppure nella
cosmologia e astronomia classica e medievale, questa terra
di piccole dimensioni è pensata al centro dell’universo.
Galileo avrebbe incontrato gravi difficoltà con
Col viso ritornai per
tutte quante
Le sette spere, e vidi questo globo
Tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
Questo è
quasi, seppur non esattamente del tutto, ciò che vedevano
gli astronauti. Mai credo
abbiamo realizzato quanto bella fosse la terra, quanto
fragile, quanto delicata, fino alla pubblicazione di quelle
foto dallo spazio. 17 Il
classico Cicerone, Boezio,
erede della patristica, il medioevale Dante, tutti pensano
alla terra come oggetto di dispregio, come oggetto di
imperfezione e peccaminosità, non come oggetto di mirabile
bellezza. Per loro la terra è caduta, è peccaminosa, è
materia, al centro del loro universo, ma l’esatto opposto
del divino centro di Boezio rispetto al cerchio del sempre
crescente non essere.
Dante
rivolta ogni cosa in Paradiso
XXIII. Beatrice lo richiama perché si rivolga a mirare Dio e
Maria entro
Ma prima che
questo accada, e prima di incontrare Boezio - che Dante
colloca in Paradiso
X - dobbiamo ancora viaggiare in quella prigione che è l’Inferno e in quella
casa di correzione che è il Purgatorio. L’Inferno è nel regno
delle tenebre, nel regno di quei terribili tre giorni dal
Venerdì Santo alla Domenica di Pasqua. Alle similitudini
dell’Inferno fa da
sfondo la stagione invernale, che per Shakespeare è
‘l’inverno del nostro scontento’, l’inverno della
disperazione. In opposizione al mortale Inferno il Purgatorio ci
riporta alla ‘dolce stagione’ dell’apertura del poema, ci
riporta alla Primavera, alla Pasqua, alla Resurrezione dalla
morte. Entrambe le stagioni sono pietrose, ma sulle pareti
di roccia del Purgatorio
il sole brilla come una benedizione. I due luoghi si
specchiano l’un l’altro. Entrambi sono gironi labirintici,
il primo versione rovesciata del secondo. Entrambi con le
loro porte. Vivamente ricordiamo l’orrore, l’inesorabilità
della prima porta, l’iscrizione ‘LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CH’INTRATE’
incisa sul granito come su una pietra tombale, come la legge
di Mosè sulle tavole di pietra, o come su un Arco di trionfo
romano.
Quella
medesima porta, tuttavia, parla di se come costruita dalla
Giustizia (dell’alto Fattore), dalla Divina Potestate, dal
Primo Amore, dalla Somma Sapienza. Come può l’Amore, ci si
chiede, creare tale artificio, come può costruire un
monumento alla disperazione, alla negazione , all’ateismo?
Una identica porta, tuttavia, si apre in Purgatorio IX,
entrando per la quale Dante è marchiato con le sette P
incise sulla fronte. Un affresco in Santa Maria del Fiore di
Domenico di Michelino, raffigura Dante che spiega
La mia
sentita propensione è di lasciarmi alle spalle l’Inferno. Ma devo
ritornarci per parlare di due altri episodi. In Inferno V Dante e
Virgilio incontrano Paolo e Francesca. Francesca racconta la
sua storia di dolore, anche affermando al congiuntivo che
fosse stato Dio loro amico ella avrebbe pregato per Dante.
In realtà non è che Dio sia loro nemico, semplicemente la
loro percezione di Dio è che egli si sia ritratto da loro.
In termini boeziani, sono loro, in realtà, ad aver scelto di
separarsi da Dio e, dunque, di lui parlare usando il
congiuntivo. Facendo così corrispondere il distorcimento
della lingua con il travisamento della verità. Sono loro a
non perdonarsi, in realtà, non Dio. Più avanti nell’Inferno le anime
sempre più parlano di Dio in termini spregiativi, come di
potenza nemica, nimica potesta, Dio tiranno, e sono loro a
volere (verbo che denota la scelta) sempre più allontanarsi
dalla sua presenza, volontariamente ponendosi in eterno
esilio da lui.
L’altro
racconto è quello di Ugolino da Pisa in Inferno XXXIII.
Gettato in prigione con i suoi figlioletti accusato di
tradimento della sua città, affamato ne divora i cadaveri.
Un terribile atto di cannibalismo che per vendetta ora
compie sul gelido ghiaccio sul capo dell’Arcivescovo
Ruggieri che con la sua progenie lo imprigionò. Più avanti,
sul ghiaccio, in questo regno di totale disperazione, ecco
Satana, il più imprigionato prigioniero nella prigione
dell’Inferno, che riflettendo il gesto di Ugolino divora uno
ad uno i suoi tre figli, Giuda, Cassio, Bruto, traditori
delle città sante di Gerusalemme e Roma. Il divoramento
della propria progenie, l’annichilimento di se e dei propri
cari, è quella boeziana definizione del male,
quell’annichilimento del se, quel tendere al non essere, che
la disperazione produce. Teologicamente parlando è la
disperazione il più grave peccato. Peccato contro Dio,
peccato contro se stessi ad immagine di Dio.
I soggetti
sotto stress - a causa della prigionia o della perdita
d’identità che l’esilio porta con se - in alcuni casi
compensano questo loro stato creando opere che restituiscano
significato alla loro vita. Carl Jung ha osservato come
alcuni pazienti riuscissero, creando mandala e labirinti, a
ristabilire l’ordine nella psiche. 18
Thomas Usk, amico di Chaucer, in attesa dell’esecuzione
compone in prigione un boeziano Testamento di amore
che forma in acrostici una preghiera per una Margaret, una
Perla che simboleggia la sua anima. 19
Re James di Scozia, catturato dagli inglesi,
compone un poema alla maniera di Chaucer e basato sulla Consolazione della
Filosofia di Boezio, conosciuto come il Kingis Quair, il
Libro del Re. 20 Sir Thomas More, prigioniero
nella Torre di Londra compone il Dialogo del Conforto
contro
Siamo qui di
fronte ad un paradosso, poiché quello stesso disegno, quello
stesso ordine che essi creano è come una prigione. Del
perché l’uomo sempre abbia amato disegni e forme rigorose,
progettando città divise in isolati, l’inferno disegnando in
bolge, in cornici il purgatorio, prigioni e monasteri in
celle, non so. So che mentre avrei un certo senso di
soddisfazione nel creare un Utopia, nel costruire una
comunità ordinata, non sceglierei di abitarne una disegnata
da altri ed in cui non ho avuto scelta alcuna. Il
post strutturalista francese, Michel Foucault, studiando
questi aspetti delle prigioni, scopre che questa visione
origina dal desiderio di aiutare e dal voler far ravvedere i
carcerati, piuttosto che non dal volerne annientare l’anima.
24 Diciamo che per alcuni il
concetto di ordine è visto come un paradiso. Un monastero
medievale è un paradiso,
Questo è in
un certo senso ciò che Dante compie nel creare il suo Inferno dall’Eneide VI di
Virgilio. Se stesso e Virgilio collocando entro questa
costruzione, se stesso nominando nel testo, a se stesso
dando significato. Egli vede l’Inferno come un
carcere eterno, un incubo, dal quale non c’è liberazione se
non per se stesso, ed il lettore riflesso in lui. Questi
prigionieri sono ergastolani. Mai neppure augurano a se la
libertà provvisoria. Ma il Purgatorio è una prigionia del tutto diversa.
È voluta e scelta, così come chi vive in un monastero
sceglie per se una vita di ordine. Chi abita il Purgatorio non è un
esule immobile nel non essere, può scegliere di ascendere da
una cornice all’altra, come pellegrino muoversi verso il
centro ogniqualvolta egli stesso ritiene di essere pronto a
farlo. Chi è nel Purgatorio
si è macchiato degli stessi peccati di chi si trova nell’Inferno. Diversa
è solo la loro attitudine. Essi sono morti nella speranza
della redenzione, e non disperatamente persuasi di essere
dannati. La montagna del Purgatorio è,
dunque, secondo l’originario significato della parola, un
penitenziario, dove i pellegrini possono riconciliarsi ed
espiare le proprie colpe. La fedina
penale è così pulita, il ricordo della colpa rimosso, pagato
il debito verso l’uomo e verso Dio. Il Paradiso è il regno
della libertà assoluta, dove le anime al centro, e ovunque
scelgano di essere, con se portano la compiuta visione della
libertà del centro persino quando discendono verso la terra,
come Beatrice che su incitamento di Maria e Lucia, giunge da
Virgilio nell’Inferno.
Tre donne queste che sono le tre Grazie piuttosto che non le
tre Parche e le Furie.
Nel testo di
Dante a rivestire particolare importanza è il fatto che gli
abitanti delle bolge e dei cerchi dell’Inferno, in realtà,
hanno scelto liberamente, pervertendo la verità e la realtà
della loro esistenza, accusando qualcun altro di quello di
cui essi sono colpevoli. Liberamente hanno scelto di credere
di essere condannati, castigati, e dannati. Questo hanno
fatto a se stessi e non qualcun altro lo ha fatto loro. Dio,
che nell’iscrizione sulla Porta dell’Inferno è Divina
Potestate, Primo Amore, Somma Sapienza (in alcune traduzioni
in inglese, Onnipotenza, Amore e Intelletto) ha creato
questi esseri a sua immagine, ed essi ne condividono la
potestate, il suo Amore e la sua Sapienza, se scelgono di
farlo. Oppure altrettanto liberamente essi possono scegliere
di abbandonare quella potestate, quell’amore e quella
sapienza, divenendo impotenti, odiosi e pazzi, separandosi
da Dio; che è poi quello che realmente hanno fatto. Dante
nel creare queste anime, dure, orgogliose, caparbie, le ha
plasmate come se stesso, a immagine dello stolto Boezio
nella Consolazione.
E attraverso le pagine della Commedia, si
allontana dallo stolto ‘se’ peregrinando
verso la sapienza della Filosofia e di Beatrice,
letteralmente viaggiando dalla tragedia della pagana Eneide
di Virgilio ad una commedia Cristiana di salvezza scegliendo
di conoscere se stesso, di perdonare se stesso. Scegliendo
di purificarsi mediante i riti medievali della confessione,
della contrizione, della soddisfazione, unitamente alla
riparazione verso la vittima e la società.
Qualità
condivisa di tutte queste opere è l’autore che cerca o
incontra l’altro. E l’altro è una figura femminile, non
maschile. Vediamo questo nella Consolation di
Boezio, nella Commedia
di Dante, nel Testament
di Usk, nella Bibbia di Re Giacomo (King James Bible) o
in Quaire. La
figura femminile rappresenta l’anima dell’autore, da cui,
grazie alla conquista della sapienza, non più è alienato.
(Analogamente, Cordelia è l’anima di Lear, Miranda di
Prospero, Perdita di Leonte). Il suo amore è al centro. Al
centro egualmente è il suo potere e la sua sapienza. Per
Boezio, incarcerato a Pavia, la sua anima è
Concludo
questa conversazione prigioniera osservando che Dante
incontrando l’anima di Boezio in Paradiso X parla di
lui come di colui che è giunto a questa pace . . . da martirio e da essilio
venne a questa pace (128-129).
Con queste
parole Dante riflette il suo viaggio dalla disperazione alla
speranza, dal fato alla libertà, dall’amarezza dell’esilio
alla ‘visione di pace’,
il significato della parola ‘Gerusalemme’, che così
gioiosamente celebra nel Paradiso.
Questo il mio intervento
all’Attica State Prison, o piuttosto Attica Correctional
Facility. Alle guardie tutti riferiamo come i carcerati si
fossero dimostrati attenti e percettivi nei nostri confronti.
Ma la replica rabbiosa di una delle guardie è che si sono
comportati così bene solo per avere un’altra conferenza
simile. Durante il Simposio, ‘L’Apprendimento in Esilio’,
trascinano i piedi e le sedie, parlano con i loro walkie-talkie,
in modo brusco chiamano i carcerati a voce alta e con il loro
numero, rumoreggiano con i piatti. I carcerati stanno, invece,
seduti e così attentamente rapiti che si sarebbe persino
potuto sentire uno spillo cadere. Conquistano il
nostro cuore trasmettendoci
il loro percepirsi come persone degne e di valore. Fanno
commenti, riferendo i testi a se stessi, osservando, con
disarmante onestà, che come le anime dannate dell’Inferno essi hanno
incolpato tutti gli altri tranne se stessi. 28 Un giovane ispanico chiede se
potevano essere inclusi testi spagnoli e caraibici la volta
successiva. Gli parlo della commedia spagnola Laberinto di Juan de
Mena, e di Jorge Luis Borges che scrive di labirinti, 29 mentre confesso la mia ignoranza
della poesia caraibica scusandomene. Un altro, di colore, mi
chiede se non fossero state le difficoltà e le vicissitudini
(si, proprio questo era il suo vocabolario) della vita ad
indurre Dante a scrivere quella mirabile e possente opera che
è
Notes
1 John Robert Glorney
Bolton, Il Papa (Milano: Longanesi, 1959), p. 272; Living
Peter (London: George Allen and Unwin, 1961), pp.
185-186.
2 Trans. King Alfred, ed. John Walter Sedgefield
(Oxford: Clarendon, 1900); trans. Geoffrey Chaucer, in The
Riverside Chaucer; trans. Queen Elizabeth, in Queen
Elizabeth's Englishings of Boethius, Plutarch and Horace,
ed. C. Pemberton (London: Early English Text Society, 1899),
EETS OS 113.
3Convivio I.iii; Paradiso XVII.58,60. Ancora oggi il pane
fiorentino è preparato senza sale.
4 Dei suoi accusatori
Boezio dice: 'Tra di
loro un Basilio, già allontanato dal servizio del re, è
stato indotto a testimoniare contro di me a causa dei suoi
debiti. Un Opilione e un Gaudenzio poi, anch’essi condannati
in esilio dal tribunale regio a causa delle loro
innumerevoli frodi di ogni specie. Costoro, rifiutandosi di
ubbidire, ripararono per diritto d’asilo in un luogo sacro;
quando il re lo venne a sapere, decretò che se entro la data
stabilita non avessero abbandonato Ravenna, ne fossero
cacciati segnati sulla fronte con un marchio d’infamia. Come
poteva essere più severo il giudizio del re? Eppure, quello
stesso giorno, la testimonianza di costoro contro la mia
persona fu accolta’. Boethius, The Consolation of
Philosophy, trans. Richard Green (Indianapolis: Bobbs
Merrill, 1962), p. 11; Boezio,
5 Nel dispensario
dell’Abbazia Cistercense di Casamari in Italia, ho visto i
monaci somministrare la penicillina, ma anche applicare su una
ferita con una piuma d’uccello una lozione conservata in un
vasetto.
6 Eldridge Cleaver, Soul
on Ice (New York: Delta, 1968).
7 Pp. 3-7.
8 P. 7: "Signora di ogni virtù," Io
dissi, "perché lasciando l’arco del cielo siete giunta in
questo deserto luogo d’esilio? Siete anche voi prigioniera,
oppressa da false accuse?
9 P. 9.
10 Egli parla di armadi
per libri in avorio e cristallo. .
11 P. 41, Book II, Poem 8.
12 Pp. 72-73.
13 Alexander P. D. Mourelatos, "The Philosophy of
Parmenides," Ph. D. Dissertation,
14 Pp. 91-92.
15
16 P. 37.
17 Un prigioniero dice qui,
“Era bella!" quando chiesi com’era la terra in quei dipinti.
18 Carl G. Jung, Mandala Symbolism, trans.
R. F. C. Hull (Princeton: Princeton University Press, 1972).
19 Thomas Usk, "The Testament of Love," in Chaucerian
and Other Pieces, edited, W. W. Skeat, (London: Oxford
University Press, 1897), vol. VII.1-145.
20 King James I of
21 Sir Thomas More, A Dialogue of Comfort
against Tribulation, edited, Louis L. Martz and Frank
Manley, in The Complete Works of St. Thomas More (New
Haven: Yale University Press, 1976), vol 12.
22 Sir Walter Ralegh, The History of the World,
ed.
23 Mircea Eliade, Aspects du myth (Paris:
Gallimard, 1963), pp. 33-70.
24 Michel Foucault, Surveiller et punir
(Paris: Gallimard, 1975).
25 Herrad von Landsberg, Hortus Deliciarum,
ed. Rosalie Green (London: Warburg Institute, 1979); George
Williams, Wilderness and Paradise in Christian Thought:
The Biblical Experience of the Desert in the History of
Christianity and the Paradise Theme in the Theological Idea
of the University (New York: Harper, 1962).
26St. Patrick's
Purgatory: The Versions of Owayne Miles, ed. Robert Easting (Oxford: Oxford University
Press, 1991), EETS 298; Victor and Edith Turner, Image and
Pilgrimage in Christian Culture: Anthropological
Perspectives (New York: Columbia University Press,
1978).
27 Thomas De Quincey, Confessions of an English
Opium Eater (Oxford: Woodstock Books, 1989).
28 Mi rendo conto ora che
questa abilità ad essere onesti con se stessi deriva dai
Dodici Passi degli Alcolisti Anonimi. Vorrei che gli
amministratori universitari, i politici e i loro elettori,
adottassero questi Dodici Passi.
29 Juan de Mena, Laborinto de Fortuna, ed.
Louise Vasvari Fainbag (Madrid: Alhambra, 1976); Jorge Luis
Borges, Labyrinths (New York: New Directions, 1962); El
Aleph (Madrid: Alianza, 1971).
30 Leslie A. Fiedler, The Stranger in
Shakespeare (New York: Stein and Day, 1972).
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