'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice
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Sole
DANTE ALIGHIERI
insensata
cura de' mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l'ali!
4 Chi
dietro a iura e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi,
7 e chi
rubare e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
s'affaticava e chi si dava a l'ozio,
10 quando, da
tutte queste cose sciolto,
con Bëatrice m'era suso in cielo
cotanto glorïosamente accolto.
13 Poi che
ciascuno fu tornato ne lo
punto del cerchio in che avanti s'era,
fermossi, come a candellier candelo.
16 E io senti'
dentro a quella lumera
che pria m'avea parlato, sorridendo
incominciar, faccendosi più mera:
19 «Così com' io
del suo raggio resplendo,
sì, riguardando ne la luce etterna,
li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.
22 Tu dubbi, e
hai voler che si ricerna
in sì aperta e 'n sì distesa lingua
lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna,
25 ove dinanzi
dissi: ``U' ben s'impingua",
e là u' dissi: ``Non nacque il secondo";
e qui è uopo che ben si distingua.
28 La
provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogne aspetto
creato è vinto pria che vada al fondo,
31 però che
andasse ver' lo suo diletto
la sposa di colui ch'ad alte grida
disposò lei col sangue benedetto,
34 in sé sicura
e anche a lui più fida,
due principi ordinò in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.
37 L'un fu
tutto serafico in ardore;
l'altro per sapïenza in terra fue
di cherubica luce uno splendore.
40 De l'un
dirò, però che d'amendue
si dice l'un pregiando, qual ch'om prende,
perch' ad un fine fur l'opere sue.
43 Intra Tupino
e l'acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d'alto monte pende,
46 onde Perugia
sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.
49 Di questa
costa, là dov' ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.
52 Però chi
d'esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Orïente, se proprio dir vuole.
55 Non era ancor
molto lontan da l'orto,
ch'el cominciò a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;
58 ché per tal
donna, giovinetto, in guerra
del padre corse, a cui, come a la morte,
la porta del piacer nessun diserra;
61 e dinanzi a
la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito;
poscia di dì in dì l'amò più forte.
64 Questa,
privata del primo marito,
millecent' anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito;
67 né valse udir
che la trovò sicura
con Amiclate, al suon de la sua voce,
colui ch'a tutto 'l mondo fé paura;
70 né valse
esser costante né feroce,
sì che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce.
73 Ma perch' io
non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.
76 La lor
concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;
79 tanto che 'l
venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo.
82 Oh ignota
ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, sì la sposa piace.
85 Indi sen va
quel padre e quel maestro
con la sua donna e con quella famiglia
che già legava l'umile capestro.
88 Né li gravò
viltà di cuor le ciglia
per esser fi' di Pietro Bernardone,
né per parer dispetto a maraviglia;
91 ma regalmente
sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religïone.
94 Poi che la
gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe,
97 di seconda
corona redimita
fu per Onorio da l'Etterno Spiro
la santa voglia d'esto archimandrita.
100 E poi che,
per la sete del martiro,
ne la presenza del Soldan superba
predicò Cristo e li altri che 'l seguiro,
103 e per
trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno,
redissi al frutto de l'italica
erba,
106 nel crudo
sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.
109 Quando a
colui ch'a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso a la mercede
ch'el meritò nel suo farsi pusillo,
112 a' frati
suoi, sì com' a giuste rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l'amassero a fede;
115 e del suo
grembo l'anima preclara
mover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara.
118 Pensa oramai
qual fu colui che degno
collega fu a mantener la barca
di Pietro in alto mar per dritto segno;
121 e questo fu
il nostro patrïarca;
per che qual segue lui, com' el comanda,
discerner puoi che buone merce carca.
124 Ma 'l suo
pecuglio di nova vivanda
è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote
che per diversi salti non si spanda;
127 e quanto le
sue pecore remote
e vagabunde più da esso vanno,
più tornano a l'ovil di latte vòte.
130 Ben son di
quelle che temono 'l danno
e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
che le cappe fornisce poco panno.
133 Or, se le
mie parole non son fioche,
se la tua audïenza è stata attenta,
se ciò ch'è detto a la mente revoche,
136 in parte fia
la tua voglia contenta,
perché vedrai la pianta onde si scheggia,
e vedra' il corrègger che argomenta
139 ``U'
ben s'impingua, se non si vaneggia"».
Londra,
British Library, Yates Thompson 36, fol. 149
PARADISO
XI: COMMEDIA FRANCESCANA
JULIA
BOLTON HOLLOWAY
I
COMMENTARI
I commentatori di Paradiso XI possono
essere classificati in più distinti gruppi. I primi
commentatori - al modo in cui i teologi trattano i testi del
Vangelo e dell’Antico Testamento - a margine del testo
scrivono in latino annotazioni esplicative molto dotte, quelle
glosse che vanno a fare da cornice all’italiano. Questi
commenti saranno pubblicati sotto l’egida del vittoriano Lord
Vernon, poi raccolti nei volumi di Guido Biagi negli anni tra
il 1924 e il 1939, e più tardi nuovamente pubblicati a cura di
Vincenzo Cioffari e Massimiliano Chiamenti. Tra questi il
commento di Pietro Alighieri, figlio di Dante - che con ogni
probabilità ebbe anche accesso alla biblioteca paterna - è
forse il più vicino agli intenti del padre. Fortemente fedele
(come Francesco da Buti) alla visione della Commedia quale poema
d’invenzione, ma a motivo di ciò svalutato. Un altro distinto
gruppo, che comprende un antico commentario, è rappresentato
dai domenicani che il testo apprezzano ad esso accostandosi da
studiosi attraverso la lente della Regina delle Scienze
all’Università di Parigi, la Teologia. Un altro gruppo,
tuttavia, è rappresentato dai Francescani, e da un loro
sottogruppo che, volendo stabilire un parallelismo tra Dante e
Giotto, il Canto XI vedono congiunto a immagini con sullo
sfondo la storia dell’Ordine e del suo Fondatore, con una
partecipazione affettiva al testo, la stessa cosa ricercando
per i propri lettori. Un quarto gruppo è rappresentato dagli
accademici, dagli editori secolari del testo di Dante, e da
quanti secondo la lezione di Croce e Momigliano su tali
edizioni fondano le Lecturae
Dantis, rifuggendo dalla sapienza e teologia dei
Domenicani, come dal serafico ardore e dall’iconografia della
scuola francescana, il testo probabilmente leggendo troppo
alla lettera. Quasi fosse una mucca sacra, simulando di non
vedere l’ironia insita nel profondo. La presente Lectura Dantis, come
in un caleidoscopio, cercherà di ricomporre l’unità delle loro
opposizioni.
IL
CONTESTO DEL CANTO
Non
è solo il Canto XI ma la Commedia intera a celebrare il francescanesimo.
Invero così è con la stessa vita e morte di Dante. Il lupo di
Gubbio di San Francesco che come in un negativo fotografico è
adombrato in Inferno
I, 49-54; la corda, il cordone francescano sciolto (la vendita
dell’anima), che Virgilio getta per chiamare Gerione,
Io avea una corda
intorno cinta,
e con essa pensai
alcuna volta
prender la lonza a la
pelle dipinta. Inferno
XVI, 106,
e
con questi versi rinvio a Inferno I,
ed ecco, quasi al
cominciar dell’erta,
una lonza leggera e
presta molto,
che di pel macolato
era coverta;
e non mi si partia
d’inanzi al volto,
anzi impediva tanto
il mio cammino
ch’i’ fu’ per
ritornar più volte vòlto. Inferno I, 31-36
Secondo
quanto asserito da Francesco di Bartolo da Buti, professore
all’Università di Pisa, Dante fu, infatti, dapprima novizio
francescano compiendo gli studi presso la prestigiosa scuola
del convento di Santa Croce quando all’età di cinque anni
rimane orfano della madre, e a dodici del padre, per poi
diventare terziario francescano. Punto mai messo in
discussione fino a che non si giunge al positivismo
dell’Ottocento. Guido da Montefeltro che si cinge del cordone
francescano per poi abusarne, ‘Io fui uom d’arme, e poi fui
cordigliero, credendomi, sì cinto, fare ammenda’, Inferno XXVII, 67-68;
il Padre Nostro in Purgatorio XI, 4-5
che è una lauda,‘laudato
sia ’l tuo nome . . da ogne creatura; la storia di
Piccarda di casa Donati in Paradiso III, entrata
come clarissa nel convento fondato a Firenze da san Francesco
per sant’Agnese, sorella di santa Chiara, che anche custodiva
il suo saio; san Francesco che nella Rosa Celeste nel suo
posto preminente nel più alto scanno precede san Benedetto e
sant’Agostino, Paradiso
XXXII, 34; l’Inno alla Vergine che Dante pone in bocca al
cistercense san Bernardo di Paradiso XXXIII,
lauda francescana intonata in volgare e non in latino; e la
sepoltura infine di Dante in esilio nella Chiesa di san
Francesco a Ravenna secondo tradizione per un Terziario
vestito del saio francescano.
Ma
Dante cavallerescamente e in modo chiastico ci presenta il
francescanesimo attraverso la lente del domenicanesimo che di
questo fu rivale. Nel Canto XI non siamo alla presenza di
Francesco, ma la sua storia è retoricamente narrata da qualcun
altro. Bruno Nardi ci richiama alla mente che non è Tommaso
d’Aquino in realtà a parlarci di Francesco d’Assisi, ma Dante
stesso, che per far ciò di lui si serve come maschera - e più
tardi analogamente di san Bernardo con la sua invocazione alla
Vergine. Siamo nel mondo di Dostoevskij e Bachtin. Un mondo di
voci polifoniche. Con i canti intrecciati del cielo del Sole
compresi tra il Canto X e il Canto XIV (1-86) del Paradiso Dante crea
poi - con il sole che echeggia il Cantico del Sole (Il Cantico delle Creature)
di san Francesco, e il Cantico
dei Cantici di Salomone - l’immagine di un orologio con
i suoi scappamenti, riflesso della legge del contrappasso per
la quale ciascun azione provoca una reazione uguale o
contraria. Con quest’immagine egli mostra i dodici Padri della
Chiesa tra i quali emerge Tommaso D’Aquino O. P., nel mondo
divisi da controversie teologiche, il Canto X chiudendo con un
gregge di pecore, che Tommaso D’Aquino, sorridendo, menziona
due volte ancora nel Canto XI subito dopo il discorso di Dante
al lettore affinché dietro di sé lasci le cose di questo mondo
per il regno dei cieli. Segue a questa immagine un’altra
ghirlanda di dodici Padri della Chiesa, anch’essi tutti
teologici nuovamente uniti in una armonia di opposti. Al
centro di ciascuna delle due ghirlande di luce (uno specchio
che riflette un doppio arcobaleno) è celebrato un principe
della Chiesa. Un principe di vita attiva più che
contemplativa. Nel Canto XI il domenicano Tommaso D’Aquino
tesse le lodi del serafico san Francesco, nel Canto XII il
francescano Bonaventura le lodi del cherubico san Domenico: i
due fondatori dell’Ordine dei Frati Predicatori Mendicanti del
secolo XIII dediti a un ministero urbano, che allontanandosi
dal primo monachesimo benedettino e cistercense dello stile di
vita solitaria e di élite, in origine a Norcia e Subiaco, a
Clairvaux e Rievaulx, rinnovano ora la Chiesa. Due nuovissimi
ordini però destinati a corrompersi. I Francescani si
scinderanno in due rami distinti, gli Spirituali - che vivono
il Vangelo di Francesco, dallo status quo condannati
come eretici - e i Conventuali - capeggiati da Frate Elia da
Cortona - compiacenti con la mondanità e il Papato che
appropriatisi del corpo di Francesco nella Cattedrale con i
fondi della Curia romana costruiranno in conci di pietra
l’imponente Basilica per custodirvelo. L’uno e l’altro ordine
allontanandosi dai carismi dei propri rispettivi fondatori
esibiscono una confusa, antiquata ‘modernità’, quasi una
Primavera Araba subito fallita, che di questa narrazione, del
dominio e dell’equilibrio che ne derivano, ha bisogno.
L’APOSTROFE
DEL CANTO
Il
Canto XI si apre con una potente apostrofe contro la dottrina
sofistica di cui si servono quanti, avvocati, medici, preti,
politici, per mezzo di plagio, frode, e violenza, perseguendo
il proprio vantaggio e interesse, il piacere, l’ozio hanno
deviato dagli spiriti sapienti della coreografia del
precedente Canto X dei dodici Dottori della Chiesa che cantano
e danzano, che Giovanni Freccero e Vincenzo Placella anche
identificano con i Segni dello Zodiaco: Tommaso d’Aquino,
Alberto Magno, Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi
l’Areopagita, Paolo Orosio, Severino Boezio, Isidoro di
Siviglia, Beda il Venerabile, Riccardo di san Vittore, Sigieri
di Brabante. E i dodici del successivo Canto XII: Bonaventura
da Bagnoreggio, Illuminato da Rieti, Agostino d’Assisi, Ugo di
san Vittore, Pietro Ispano [PapaGiovanni XXI], PietroComestor
o Mangiadore, Natan, Giovanni Crisostomo, Anselmo d’Aosta,
Elio Donato, Rabano Mauro, Gioacchino da Fiore:
O
insensate cura de’ mortali,
quanto son difettivi
sillogismi
quei che ti fanno in
basso batter l’ali!
Chi dietro a giura, e
chi ad anforismi
Se’n giva, e chi
seguendo sacerdozio,
e chi regnar per
forza o per soffismi.
e chi rubare, e chi
navil negozio,
chi nel diletto della
carne involto
s’affaticava ,e chi si dava a l’ozio, (1-9)
Questa
controlista di quanti scioccamente vissero per se stessi e non
per la vera sapienza è giustapposta a Dante e Beatrice in
cielo attorniati dai ventiquattro:
quando, da
tutte queste cose sciolto,
con Beatrice m’era,
suso in cielo
cotanto gloriosamente
accolto. (10-12).
E,
osserva Raoul Manselli, Jacopone da Todi lamenta, ‘Mal vedemmo
Parisi, c’have destrutto Ascisi’. Mentre Bruno Nardi riconosce
gli Aforismi di
Ippocrate nel commento di Taddeo d’Alderotti (questi traduce l’Etica Nicomachea di
Aristotele e un suo testo dedica a Corso Donati). Francesco
Mazzoni rintraccia gli antecedenti dell’apostrofe di questo
canto in Lucrezio e Perseo, anche creando un nesso tra i versi
sulla brama di potere e la critica di Dante riguardo a Corso
Donati (questi sarà poi podestà di Treviso). Il successivo riferimento
(48) all’Umbria sotto il ‘giogo’ e la tirannia di Roberto
d’Angiò rimanda a questa stessa apostrofe, passo moderno che
profetizza ‘Il sole che sorge’ di John Donne, e che descrive i
mali che affliggono il nostro tempo in ambito accademico,
medico, legale, politico, profondamente corrotti.
Con
il testo di Dante siamo estranei alla linearità del mondo
moderno diviso in rigidi compartimenti stagni, in tal modo,
tuttavia, trattiamo i canti (semplicemente unità, bite sonori per la
soglia di attenzione dei lettori di Dante, che più si confanno
ad essere declamati, con ‘atomi agganciati’, sospensioni,
continui rimandi avanti e indietro nell’intero testo della Commedia) nelle
solenni Lecturae Dantis
piene di riverenza. La strutturazione formale di Dante,
differentemente, è nella circolarità del mondo dell’emisfero
destro, nel suo comprendere e abbracciare gli opposti in
costruzioni chiastiche e coreografiche, o nel rovesciare
questi stessi opposti. La danza polifonica dei canti
precedenti torna al punto di partenza, e la luce che è Tommaso
d’Aquino sorride rimanendo immobile ora come una candela sopra
il suo candeliere (15), come nei grandi candelabri circolari
nelle chiese. Immagine speculare dei rosoni con i dodici
Apostoli che attorniano la Vergine con Bambino ma su un piano
perpendicolare.
IL
FRANCESCO DI TOMMASO D’AQUINO
Tommaso
d’Aquino sorridendo, riprende a parlare. Per mezzo della luce
di Cristo, dice, attraverso lo Spirito Santo, che è solo
manifestazione della sua luce, egli comprende la domanda non
espressa di Dante, i due suoi dubbi, spiegando l’affermazione
fatta poco prima, “U’ ben s’impingua” che è riferita ai frati
a significare come essi zelanti debbano imitare gli opposti
carismi dei loro due fondatori: san Francesco e san Domenico.
L’esplicazione del secondo dubbio di Dante circa Salomone e la
sua saggezza lascia invece - tra fila in sospeso e smarrimento
(scena di pericolo in ‘Perils of Pauline’) - per il canto
successivo. La Provvidenza, egli spiega, i due ha eletto
perché guidino la Chiesa, la Sposa vedova di Cristo, così che
l’alte grida di Cristo, l’‘alto grido’ - come il suo orgasmo -
di colui che a lei si unì col sacrificio del suo sangue
benedetto sia ancor più alto. (Spiegazione questa consonante
con il pensiero di Etienne Gilson il quale nei seminari che
tenne a Berkeley osservava che Tommaso d’Aquino descrive il
culmine del piacere che Adamo ed Eva provano nel Paradiso
terrestre più grande rispetto ad ogni altro orgasmo seguito
alla Caduta, sebbene questa interpretazione provochi uno shock
tra alcuni dei commentatori. Umberto Bosco e Francesco Mazzoni
leggono questo passo unicamente nel senso del versetto ‘emesso
un alto grido’ del Vangelo di Matteo (27, 50 ). Non in
riferimento a Salomone e alla regina di Saba. O ad Adamo ed
Eva.
Dei
due un principe è serafico (Francesco, 37), e John S. Carroll
dice ardente d’‘Amore’, l’altro cherubico (Domenico, 38-9),
che Carroll appella col nome di ‘Sapienza’, secondo la
definizione che Tommaso d’Aquino dà di Serafini e Cherubini.
Essi sono come l’angelica ‘Shekinah’, segno della presenza di
Dio tra la coppia di cherubini alati ai lati dell’Arca, anche
incarnando i due campioni chiamati a riparare la Chiesa, e
combattere l’Anticristo. Uno dall’Est (l’italiano Francesco),
uno dall’Ovest (lo spagnolo Domenico) della profezia di
Gioacchino da Fiore. Manselli e Nardi vedono in Francesco il
sesto sigillo dell’Apocalisse di Gioacchino da Fiore: ‘angelus
ascendens ab ortusolis, habens signum Dei vivi’, ‘l’angelo
che ascende dal giardino del sole, ha il sigillo del Dio
vivente’ del Liber
Figurarum. E questo sigillo è sia il sigillo della Bolla
Papale dell’approvazione dell’Ordine dei Frati Minori sia il
sigillo delle cinque stimmate ricevute sul Monte della Averna.
Per mezzo di Dante Tommaso d’Aquino opera una riconciliazione
nel loro reciproco opporsi, così come nello storico abbraccio
a Roma nel 1215, riflesso nella più tarda scultura dei Della
Robbia e nel dipinto di Fra Angelico, con il domenicano che
celebra il francescano e viceversa in un chiasmo di umiltà e
non di rivalità discorde. Né questo è da ritenersi un fatto
straordinario, dal momento che in tutte e due gli ordini è una
tradizione lunga secoli che un francescano predichi ai
domenicani nel giorno di san Domenico e che, viceversa, un
domenicano predichi ai francescani nel giorno della memoria di
san Francesco.
Con
ogni probabilità i migliori commentatori per il
francescanesimo e il domenicanesimo di questo canto sono un
anonimo domenicano - che dovette, attesta Vincenzo Cioffari,
interrompere il suo commento, il MS Egerton 943 della British
Library, allorquando nel 1335, giunto al Canto XII del Paradiso, il Capitolo
in Santa Maria Novella proibì ai frati membri dell’Ordine dei
Predicatori di leggere le opere di Dante in italiano – poi
Kenelm Foster, O.P., ed Etienne Gilson, moderni studiosi
domenicani, per i quali non più vale quell’interdetto.
L’anonimo glossatore domenicano del secolo XIV, Anonimo
latino, mette in rilievo come le mistiche nozze di Francesco e
Madonna Povertà siano una dottrina ‘falsam et hereticam’,
‘falsa ed eretica’, compiacente con la ‘correzione politica’
di dominio della Curia Papale contro gli Spirituali. Egli
anche emenda il testo di Dante (65), asserendo che nella sua
datazione si dovrebbero includere 120 anni in più e non solo
considerare i suoi ‘undici secoli’, per così poter riflettere
l’arco di tempo in cui i due Ordini - ‘predicatorum et
minorum’, dei Frati Predicatori e dei Frati Minori - furono
fondati.
LA
GEOGRAFIA DEL CANTO
Dante
sovente ancora il suo poema allegorico alla geografia reale,
Guglielmo Gorni parla della Commedia di Dante come di una guida Baedeker,
tanto che Vittorio Alinari poté viaggiare per tutta l’Italia
fotografando i luoghi citati nel testo che oggi possiamo
esplorare utilizzando Google Earth. Qui Dante in una lista
riunisce il fiume Tupino, tra il Tevere e l’Arno, le città di
Perugia, Nocera, Gualdo (43-48), alla sua narrazione
assegnando‘una dimora fisica e un nome’ (Shakespeare, Sogno di una notte
d’estate, V, i, 17). Egli parla di questi luoghi come
dei luoghi dell’eremita Ubaldo, poi vescovo di Gubbio, modello
e santo precursore di Francesco. Gioca poi sull’allegoria del
nome Assisi proprio come prima ha citato Porta Sole a Perugia
(46), identificando Assisi con il sole che sorge, ‘Ascesi’, e
con ‘O Oriens’, l‘Astro che sorge’ (l’Oriente), come
nell’Antifona dell’Avvento, stabilendo un’analogia tra
Francesco e Cristo. Nell’Imitatio
Christi Francesco è novello Cristo, come per gli
italiani moderni così è con il francescano Padre Pio. Dante
anche traccia l’itinerario di questo viaggio del sole dal suo
sorgere dalle foci del Gange in India (51) ad Assisi (52-54)
come visto da Porta Sole a Perugia (46). Francesco da Buti, è
qui interessante osservare, suggerisce che il fiume Gange sia
il fiume ‘Gehon’, uno dei Quattro Fiumi del Paradiso terrestre
(il Gehon, il Fison, il Tigre, l’Eufrate). Anche Flavio
Giuseppe identifica i due fiumi.
MADONNA
POVERTA’ DI AUERBACH
Nel
suo esilio da Hitler a Istanbul Erich Auerbach, con solo una
valigia di libri, scrive un geniale saggio sullo shock della
Povertà intesa come desiderata prostituta dei frati, associato
all’affresco di scuola giottesca di quella scena nella
Basilica inferiore di Assisi come vista dal prete che celebra
la Messa (probabilmente suggestionato dal canto di Dante). C’è
qualcosa di strano nell’affresco. La figura di Madonna Povertà
appare splendente, anoressica, cenciosa, piena di rattoppi,
terrificante, mentre dei bambini la lapidano con crudeltà. Il
frate che Cristo sposa con lei, non è l’esile, ascetico
Francesco che veste l’abito grigio ma un anonimo grassoccio
Conventuale che veste l’abito nero. Il saggio di Auerbach ha
scioccato i dantisti italiani Umberto Bosco e Francesco
Mazzoni che privilegiano la solenne rituale Lectura Dantis della
tradizione, seppur Marguerite Chiarenza parli delle allegorie
erotiche dei teologi tardo medievali, ad esempio di Bernardo
sul Cantico dei Cantici
di Salomone. Nel salmo 19, 4-6, il sole ‘esce come uno sposo
dalla stanza nuziale’. Dante che ha già parlato dell’‘alte
grida’(32) e della ‘porta
del piacer’ (60, della quale anche nell’Enciclopedia Dantesca dall’allegorismo
del Roman de la Rose se
ne parla come del simbolo delle parti intime della donna)
descrive ora Povertà, la vera Santa Chiesa, che sale sulla
Croce, consumando le sue nozze con Cristo in una manifesta
intimità, con Maria che piange ai suoi piedi. L’effetto di
shock è ottenuto per mezzo dell’allegoria (állos,
altro, diverso, agoreúein,
parlare da agorá
‘piazza’) che con violenza intrude nel suo proprio opposto, l’agorá, la piazza fuori
della chiesa. La realtà. La Cristianità primitiva, fino a
undici secoli prima, siamo nel 1300, aveva sposato la povertà.
Non così è in epoca più tarda quando la Cristianità nella sua
identità corrotta arriva a disdegnare e disprezzare la povertà
fino a giungere a quel momento nella piazza della città di
Assisi in cui san Francesco si spoglia delle vesti al cospetto
del Vescovo e alla presenza del padre profondamente scosso.
Intorno al 1300 la scuola giottesca quella scena, collocabile
nel 1207, dipingerà ambientata in una realtà di fine secolo
nel ciclo pittorico della Basilica superiore di Assisi, il
dramma popolando di figure moderne. La figura di Pietro
Bernardone allontanandosi tiene in mano le ricche vesti uscite
dal suo magazzino di tessuti, come Saulo/Paolo alla
lapidazione di Stefano, mentre il Vescovo copre la nudità di
Francesco. Il latino di Dante ‘et coram patre’ ,
‘alla presenza del padre’, in mezzo al suo italiano è formula
giuridica medievale usata negli atti notarili. Come in un
palinsesto il suo testo è l’insieme ditutto ciò, come pure
l’unione e la congiunzione forzatadi opposti dei Voti di
Francesco di vivere in Povertà, Castità e Obbedienza, con la
Povertà come ricchezzaper il regno dei cieli, la Castità come
adultera promiscuità, l’Obbedienza come disobbedienza al
padre, persino comefuga senza consenso paterno per obbedire a
Cristo e al Vescovo, anche l’allegoria lasciando rovesciarsi
nel suo contrario, carne e sangue nella piazza del mercato.
Dopo di ciò altri seguaci di Francesco si comprometteranno in
un adulterio con la sua Sposa: Bernardo di Quintavalle,
Egidio, Silvestro. Questo è anche il secolo in cui a Firenze
sette giovani ricchi nobili mercanti, divengono Servi di Maria
fondando l’Ordine dei Servi di Maria, che loro appare in una
visione sul Monte Senario. Perfino in epoca moderna a Firenze,
un conte, un marchese, un duca, adolescenti ribelli in
conflitto con i genitori, fuggono sulle montagne insieme ad
una giovane donna che afferma di avere delle visioni. Nel suo
Fratello sole, Sorella luna del
1972 Sir Franco Zeffirelli coglie in queste storie l’ethos
degli ideali dei figli dei fiori. Dante oltre che l’Ordine dei
Servi di Mariaignora gli altri due maggiori Ordini di frati, i
Carmelitani e gli Agostiniani. Testimoni di questa narrazione
di Tommaso d’Aquino in Paradiso
sonola coppia Dante/Beatrice. Beatrice andata in sposa a un
altro, Dante sposato ad un’altra.
CRISTIANO/CLASSICO
Ripetutamente
Dante ci offre universi paralleli, l’uno cristiano, l’altro
classico. Qui egli interpone il racconto di Amiclate tratto
dalla Farsaglia di
Lucano V.505-721- poema già richiamato alla mente con i
serpenti della bolgia dei ladri in Inferno, e con il
Catone del Purgatorio,
precedentemente citato nel suo Convivio
IV.xiii.12-13 - per parlare della libertà più che del giogo
della povertà. Cesare cerca l’aiuto di un povero pescatore che
vive in una capanna sulla spiaggia, lo sveglia durante la
notte promettendogli ‘opibus
subitis’, ‘subitanee ricchezze’, e da lui aspettandosi
servile obbedienza. Amiclate risponde parlando dei segni della
natura, del sole e della luna, del lido e della superficie del
mare, forieri di molti cattivi presagi, tentando poi di
traghettare Cesare. Sono sospinti però indietro anche
rischiando una morte senza sepoltura. Il giorno dopo il sole
splende luminoso, e il racconto si chiude con i voli delle
gru, che Dante nuovamente prende a prestito in Inferno V 46-48.
Né valse udir
ch’e’ la trovò sicura
con Amiclàte, al suon
de la sua voce,
colui ch’a tutto ’l
mondo fé paura; (67-69).
DANTE
E GIOTTO
L’amara
apostrofe di apertura di Dante, ‘O insensata cura de’ mortali’
in italiano non solo significa ‘irriflessiva’, ‘stupida’,
‘stolta’ cura, ma vuol anche significare la dicotomia del
bianco o nero dell’emisfero sinistro, la sua competitività e
insensibilità verso l’altro, in antitesi al tripudio dei
sensi, colori (vista), suoni (udito), odori (olfatto), gusto,
tatto, e dell’amore verso l’altro dell’emisfero destro del
mondo medievale. La Natività (il primo presepe) di san
Francesco a Greccio annunciando una grande trasformazione
nell’arte cristiana occidentale, ‘il Verbo si fece carne e
venne ad abitare in mezzo a noi’, agisce da stimolo al
proliferare delle rappresentazioni sensoriali
dell’‘Incarnazione’ nel dramma sacro, negli affreschi. Per
mezzo delle parole Dante narra ciò che contemporaneamente i
pigmenti raccontano nelle pitture murali delle chiese. A Roma,
ad Assisi, a Padova, Firenze. Sermoni, leggende, affreschi,
poemi, celebrano e documentano la vita del santo, assimilato a
Cristo. Francesco è l’Alter
Christus nella nostra storia, l’Alter Christus in
mezzo a noi. Le icone ortodosse d’Oriente spiritualizzano il
materiale, in egual modo il primo monachesimo - benedettino e
cistercense – negò la carne e il sangue. Non così è con la
grande esplosione francescana della canzone in lingua volgare
e di un’arte vicina alla fotografia – di cui un grande esempio
è la Commedia. Di
questa esplosione una linea di continuità Nardi riconosce nel
ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli a Montefalco.
Numerosi
scrittori commentano il parallelismo che lega Dante e Giotto,
ma nessuno a mia conoscenza sembra aver osservato che Dante e
Giotto a Firenze sono entrambi membri della corporazione dell’Arte dei Medici e
Speziali, che come suo patrono ebbe san Luca, il
ritrattista della Vergine con Bambino (riflesso in Paradiso XXXIII).
Dante (1265-1321) anche scrive la vita di Giotto (Purgatorio XI, 94-96)
commentando su questo straordinario mutamento di paradigma e
del suo distacco dal Cimabue bizantineggiante. Di mano di
Giotto (1267-1337) è il ritratto di Dante in Paradiso (Firenze,
Bargello, Cappella della Maddalena, ca.1321) nuovamente nel
giusto contesto, poiché da Firenze egli fu esiliato. Quella
città che l’avrebbe condannato al rogo o giustiziato qualora
vi avesse fatto ritorno (Il
Libro del Chiodo), e il Bargello in cui il suo ritratto
postumo è dipinto, così vicino alla Casa di Dante, era il
carcere dove i condannati a morte sostavano in attesa della
loro esecuzione capitale.
Il
ciclo di affreschi di scuola giottesca nella Basilica
superiore della Grande Basilica di Assisi fu ultimato per il
Giubileo del 1300 con i fondi della Curia papale. Abbiamo già
fatto riferimento alle mistiche nozze di Francesco e Madonna
Povertà nella chiesa bassa e del ripudio delle ricchezze
terrene del padre Bernardone nella chiesa alta. Un altro
episodio, sia rappresentato nel ciclo di scuola giottesca sia
narrato da Dante (91-93),
è la visita di Francesco a Innocenzo III, da cui nel 1210
ricevette l’approvazione verbale, il primo sigillo della
severa Regola, la seconda nel 1223 verrà data da Papa Onorio
III (97-99). Quel primo sigillo, del quale Dante non parla, fu
conseguente al sogno di Innocenzo della Basilica del Laterano
che va in rovina e di Francesco che la regge sulla sua spalla
(un sogno ben descritto in Pietro Alighieri) rappresentato
nell’affresco di Assisi, e tramandatoci dall’agiografia
francescana. A quel tempo è il Laterano, e non il Vaticano, la
sede della Curia romana, che tuttavia fu quasi completamente
distrutto nell’incendio del 1307, nel tempo anche subendo
molti danni a causa dei terremoti. Profetico è quindi il sogno
di Innocenzo, e le similitudini dei barbari e dei pellegrini
del 1300 che alla vista del Laterano vengonocolti da
meraviglia, Paradiso
XXXI.33-36, 43-45, non sono più cocentemente possibili al
tempo in cui Dante scrive.
Dopo
le approvazioni papali Dante parladel desiderio del martirio
di Francesco nell’Egitto delle Crociate (100-102) nel 1219,
delle Stimmate ricevute sul Monte Averna (106-108) - il suo
terzo sigillo - e infine della sua morte sulla nuda terra alla
Porziuncola, poi sepolto senza bara (109-117) come nel rituale
ebraico, tutto come accuratamente illustrato nel ciclo di
affreschi di Giotto ad Assisi e Firenze.
NUOVAMENTE
LA GEOGRAFIA
San
Francesco tenta di convertire il Sultano di Babilonia al tempo
della Crociata a Damietta nel Delta del Nilo in Egitto. Egli è
qui quasi un domenicano che predica a un eretico,non,
tuttavia, con le minacce del fuoco dell’inferno, ma con la
pacifica carità del Vangelo:
E
poi che, per la sete del martiro,
nella presenza del
Soldan superba
predicò Cristo e li
altri che’lseguiro. (100-102)
Il quarto Sultano d’Egitto,
al-Malik al-Kamel Naser al-Din Abu al-Ma'aliMuhammed (1180–1238) della dinastia Ayyubid, in
seguito concede Gerusalemme all’Imperatore Federico II,
permettendo ai Francescani la loro missione dellaCustodia di
Terra Santa. A motivo di questa storia molti commentatorisono
stati indotti a credere che Francesco avesse compiuto il
viaggio in Siria espressamente per questa missione. Errore
gravissimo dal momento che trascura di considerare il fatto
che per i Crociati l’Impero del Male di ‘Babilonia’ fosse il
Cairo d’Egitto sul Nilo,molteplice e ricco palinsesto
dell’Esodo dalla schiavitù d’Egitto e della
Babiloniadell’Apocalisse. L’unione
geografica e anacronistica delle due cattività è
cruciale per l’allegoria dell’Esodo delSalmo 113 di Dante
nella Commedia.
Immediatamente dopo Dante parla
dell’alto aspro roccioso fianco (‘il crudo sasso’) del Monte
della Verna e della grotta dove san Francesco visse da eremita
(che meglio possiamo scorgere nella fotografia della scena di
Vittorio Alinari, nel dipinto di Bellini, e nell’affresco di
scuola giottesca), ricevendo le stimmate dal fiammeggiante
Cristo in croce con le ali di un serafino. Dante osserva che
da questo paesaggio del Casentino nascono i due fiumi Arno e
Tevere che attraversano le città di Firenze e Roma. Dopo le
stimmate Francesco vivrà altri due anni ancora. Dai biografi
contemporanei e dal ciclo di affreschi di Giotto conosciamo
che Francesco muore sulla nuda terra alla Porziuncola - la
chiesetta oggi racchiusa, come nel proprio nido, nella più
grande Basilica di Santa Maria degli Angeli ai piedi di
Assisi. Il corpo viene portato nella Cattedrale di San Rufino
passando da San Damiano dove santa Chiara e le sorelle
piangono la sua morte. Da qui successivamente i Conventuali lo
porteranno via e appropriandosene con i fondi papali
costruiranno la grande Basilica francescana di conci squadrati
in pietra dove custodirlo.
Dante aggiunge che Francesco
affida la sua sposa Madonna Povertà ai suoi frati (112-114),
proprio come Gesù sulla croce affida a Giovanni la Madre
Maria. Come in un palinsesto Dante permea poi una terza rima di
significati sovrapposti:
e del suo grembo l’anima preclara
mover si volle,
tornando al suo regno,
e al suo corpo non
volse altra bara. (115-117)
Per
spiegare questo come profezia dovremmo tornare al canto di
Piccarda, Paradiso
III, richiamando alla mente anche santa Chiara, fondatrice
dell’Ordine delle Clarisse. È Chiara a imitare e
conservare la primaria Regola di Francesco rigettata dalle
gerarchie della Chiesa, a implorare e, nel 1216, a ottenere il
‘Privilegio della Povertà’ da Papa Innocenzo III. Dopo la sua
morte le Sorelle
Povere, le clarisse, questa primaria Regola cuciranno nel suo
saio sul petto. In tal modo Chiara diviene la ‘Madonna
Povertà’ di Dante, vedova della vera Chiesa. Non la Chiesa dei
Guelfi neri e dei Papi che condannarono Dante, o la Chiesa dei
Conventuali della Basilica di Assisi che vestirono l’abito
nero. Sono gli Spirituali che vestirono l’abito di colore
grigio dello stesso Francesco i veri suoi seguaci. Fra loro
Dante.
IL FRANCESCO DI FIRENZE
Il san Francesco di Dante oggetto
d’indagine di questo saggio vorrei ora collocare nel suo
proprio contesto toscano e fiorentino. Sin da subito il
francescanesimo ebbe Firenze come sua meta, in particolare con
il monastero di Monticelli in Bellosguardo fondato dalla
sorella di santa Chiara sant’Agnese. Il monastero delle
clarisse che possedeva il saio, la cenciosa tunica di san
Francesco, e in cui per breve tempo entrò e fu monaca Piccarda
Donati. I domenicani predicano dotti sermoni con grande rigore
esercitando un controllo sugli ascoltatori. I francescani in
un ministero democratico acceso d’ardore la loro teologia
infondono nella canzone d’amore in volgare, nelle melodie
orecchiabili, che in Provenza, terra natale della madre di
Francesco, ebbero origine. A Firenze e a Cortona in breve
tempo si vanno costituendo confraternite di laici per cantare
queste laudi. La lauda ‘Sia Laudato
san Francesco’ (ca.1260-97 in Ms. Cortona 92, Lauda 87)
dedicata allo stesso Francesco data a prima della composizione
della Commedia e compare in tre manoscritti, e in due
altri ancora delle Compagnie dei laudesi di Santo
Spirito e Sant’Egidio a Firenze:
A Cristo
configurato,/ de le piachefuesignato/ inperciò che avea
portato/ scripto in core lo suo amore.
Molti messi avea
mandate/ la divina Maiestate,/ et le genti predicate/ come
dicon le Scripture.
Intra quali non fue
trovato/ nullo privilegiato,/ d'arme nuove corredato,/
cavaliere a tanto honore.
A La Verna, monte
sancto,/ stava 'l sancto con gran pianto;/ lo qual pianto
torno in canto/ il seraphyno consolatore.
Quando fu da Dio
mandato/ san Francesco lo beato,/il mondo ki era intenebrato/
recevette gran splendore.
Per
divino spiramento/ fugli dato intendimento/ di salvare da
perdimento/ molti
ch'eran
peccatori.
Questa lauda, sia nel BR 18
della Biblioteca Nazionale Centrale sia nel BR 19 (Laudario di
Sant’Egidio, ca. 1330), è illustrata con una figurazione del
santo che riceve le stimmate a La Verna.
Al lettore di questo saggio vorrei
suggerire di cantare questa lauda in italiano nel modo in cui Angelo
Branduardi canta il Canto XI, che con il suo stile vivace
penetra nell’emisfero destro performativo, nelle forme viventi
di questi testi toccanti.
IL DOMENICO DI TOMMASO D’AQUINO
Tommaso d’Aquino riprende poi a
parlare del Fondatore del suo Ordine, san Domenico:
Pensa oramai qual fu
colui che degno
collega fu a mantener
la barca
di Pietro in alto mar
per dritto segno! (118-120)
Francesco
da Buti mette in rilievo che mentre san Francesco ottiene per
i suoi frati l’approvazione della loro Regola particolare, i
domenicani e tutti gli altri Ordini da allora in poi dovranno
strettamente attenersi alla Regola di sant’Agostino che in
origine egli scriveper la sorella. Molto probabilmente, spiega
Kenelm Foster, O.P., Dante compie i suoi studi presso i
domenicani a Santa Maria Novellasotto Remigio de’ Girolamiche
a sua volta studiò sotto Tommaso d’Aquino a Parigi. ASanta
Croce Dante viene a contatto con gli Spirituali
francescaniPietro Olivi e Ubertino da Casalesubendone
l’influsso.
Tommaso
d’Aquino ora parla di Domenico di Guzmán,
mettono in rilievo i commentatori, ma non tentano di spiegare
questa immagine della barca, della nave di Pietro.Abbiamo già
ricordato il sogno di Innocenzo III della Basilica del
Laterano che cade in rovina e disan Francesco che la regge
sulla sua spalla. Su committenza del Cardinale Stefaneschi,
Giotto per l’antica Basilica di San Pietro in Vaticano
realizzerà un grande mosaico, ora andato perduto, del
drammatico episodio di Pietro che dubita di Cristo quando
sulle acque del Mare di Galilea cammina verso di lui con la
barca che sta per
affondare nella tempesta. Questa raffigurazione della grande
nave avrà salutato i pellegrini del 1300 che in quell’anno
giubilare ricevevano l’indulgenza plenaria. Anche anno in cui
Dante colloca la sua Commedia,
ricca di molte di queste similitudini del poema visto come una
nave. Più tardi santa Caterina da Siena morirà sotto il peso
di quella grande nave della Chiesa che grava sulle sue spalle
fino ad annientarla. Nella piazza del Laterano si ergono,
invece, due colonne sormontate in cima da due sculture. La
scultura del giovinetto nudo che si cava dal piede una spina,
contro cui i pellegrini lanciano pietre, l’altra del gallo che
canta, proprio fuori della camera da letto del Papa (dove fece
il sogno di Francesco che regge la Basilica) a richiamargli
alla mente il rinnegamento di Pietro. Così l’iconografia
dell’architettura medievale della Chiesa suggella in sé dubbio
decostruttivo e rinnegamento. I lettori di Dante erano
permeati di queste similitudini presenti nel suo testo. Non
così è per noi.
Victor Turner, esponente dell’antropologia
simbolica improntata sullo strutturalismo, ne Il Processo rituale: struttura e
antistruttura, tratta dell’importanza della coppia di
opposti. M.M. Bachtin e Maria Corti questi stessi concetti
applicheranno alla letteratura medievale. Nel Canto XI abbiamo
le seguenti coppie di opposti: Francesco/Domenico,
Francescano/Domenicano, Fondatore/Discepolo, Ardore/Sapienza,
Serafino/Cherubino, Sole/Luna, Est/Ovest, Italia/Spagna,
Povertà/Ricchezza, Castità/Promiscuità,
Allegoria/Realtà,Fede/Dubbio,
Agostiniano/Aristotelico,Laterano/Vaticano, Santa Croce/Santa
Maria Novella, Italiano/Latino, Esile/Pingue, Assisi/Roma,
Gerusalemme/Babilonia, Israele/Egitto. Questo modello di
polarità/armonia è pressappoco la struttura di Dante per il
Canto XI, proprio come nella polifonia del canto che precede.
Poi la coppia d’Aquino/Dante riprende per la terza volta il
discorso sul nutrire le pecore (riferendosi sia ai frati
francescani sia aidomenicani, Pietro Alighieri mette in
rilievo che la linea deriva da Isaia) che non deviano dai
carismi dei propri Fondatori (121-139) disperdendosi. Egli già
prima si era riferito a san Francesco col nome di
‘archimandrita’ (99), vocabolo greco che significa ‘capo
(pastore) di un gregge’.
COMMEDIA
FRANCESCANA
Perché
ho scelto il titolo di ‘Commedia
Francescana’ per questa Lectura Dantis? Erich Auerbach legge le mistiche
nozze di Francesco e Madonna Povertà (prefigurando il marchese
Walter e Griselda di Chaucer e Boccaccio, il racconto della Comare
di Bath di Chaucer della sposa ‘ripugnante e vecchia’, e
riecheggiando le figure bibliche di Sara che ride alla
profezia della nascita di Isacco, di Elisabetta e di Giovanni
bambino che di gioia sussulta nel suo grembo, Alcibiade nel Simposio
di Platone che parlando di Socrate lo accosta ai sileni,
quelle scatolette intarsiate con allegre figure di vecchie
donne incinte, Gargantua
e Pantagruel di Rabelais) come fabliau lascivo,
come commedia. In Dante ho potuto osservare l'uso della lauda
francescana in lingua volgare. Firenze al tempo di Dante tesse
le lodi di Francesco per metà francese (terra natale della
madre è la Provenza) con la canzone in lingua volgare, con le
Compagnie dei Laudesi in Orsanmichele, in Sant’Egidio, in
altre chiese. I laici riuniti in queste pie confraternite
narrano la storia sacra cantando le laudi in italiano,
comprensibile, osserva Dante, anche alle donne e ai bambini.
Ma c’è molto di più. Pietro Alighieri nel suo commentario
tratta dei commentari del padre su Terenzio e le sue Commedie. Schiavo
affrancato, africano di nascita Terenzio vicino al circolo
degli Scipioni - che per la purezza del suo latino molto
influenzò Cicerone e a lui insegnò - compone commedie permeate
di riso, in cui le donne e gli schiavi sono figure di primo
piano, i figli sfidano i padri per sposare la fanciulla amata,
gli umili schiavi salvano la giornata. Ciò che Auerbach e
Nardi mettono in rilievo nel testo sulle mistiche nozze di
Francesco e Madonna Povertà, suo atto di ribellione nonostante
Pietro Bernardone, già Dante lo aveva spiegato nelle antiche
vibranti pagine. Le Commedie
di Terenzio sono adottate per l’insegnamento del latino
dilettando, ai giovani, agli oblati nei monasteri, alle
monache nei conventi. Poi proseguendo con Wakefield Master,
Shakespeare, Montaigne, Molière. Dante per la sua epica
sceglie il titolo di Commedia,
la storia cristiana. La storia francescana è uno scandalo (il
crudo sasso, la
pietra d'inciampo). Non una tragedia senza speranza dell'élite
ma una commedia che racconta un mondo rovesciato in cui gli
umili del Magnificatche parlano il gioioso volgare del
popolo sono innalzati sui grandie il loro solenne e serio
latino e greco, privilegio solo al maschile. L'Inferno
e l'Eneide rimangono nel regno della tragedia, delle
lacrime delle cose, lacrimae
rerum: Paolo e Francesca per sempre sotto il giogo
dell’adulterio non soddisfatto. Francesco e i suoi seguaci
nella letizia sposano Madonna Povertà, vedova che nessuno più
desidera. Pier delle Vigne è un suicida nella torre/prigione
di San Miniato, Romeo sceglie di contro la povertà e libertà
del pellegrinaggio. Dall'alta sua Cattedra universitaria
persino Tommaso sorride quando a Dante e Beatrice parla di
Francesco (Etienne Gilson e Walter Ong sottolineano che
Tommaso d'Aquino rinuncerà a scrivere la sua Summa, opera di
categorizzazione scaturita dall'emisfero sinistro, affermando
che quanto ha scritto 'è null'altro che paglia', per poi
comporre in un palinsesto splendide liriche sull’eucarestia
ispirate dall'emisfero destro che ancora oggi cantiamo). E
anche Dante gioca, con Tommaso d’Aquino (morto nel 1276,
secondo Dante fatto avvelenare da Carlo d'Angiò, Purgatorio
XX 67-68) che pingue dal suo seggio per tre volte racconta
delle pecore che ingrassano solo non vagabondando, solo non
deviando dal retto cammino per tornare al loro latte, loro
nutrimento. Per ammonizione e come via di fuga indicando il
dominio e l'equilibrio di questo orologio solare. Dell'esile,
ascetico ed erratico Francesco e della cenciosa, macilenta sua
sposa, Madonna Povertà, dietro cui scalzi e atletici corrono i
suoi frati, i suoi seguaci.
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Inferno I, Inferno II, Inferno
III, Inferno IV, Inferno V, Inferno
VI, Inferno VII, Inferno VIII, Inferno
IX, Inferno X, Inferno XI, Inferno
XII, Inferno XIII, Inferno XIV, Inferno
XV, Inferno XVI, Inferno
XVII, Inferno XVIII, Inferno
XIX, Inferno XX,
Inferno
XXI, Inferno XXII, Inferno
XXIII, Inferno XXIV, Inferno
XXV, Inferno XXVI, Inferno
XXVII, Inferno XXVIII, Inferno
XXIX, Inferno XXX, Inferno
XXXI, Inferno XXXII, Inferno
XXXIII, Inferno XXXIV
Purgatorio I, Purgatorio II, Purgatorio
III, Purgatorio IV, Purgatorio V, Purgatorio
VI, Purgatorio VII, Purgatorio
VIII, Purgatorio IX, Purgatorio
X, Purgatorio XI, Purgatorio
XII, Purgatorio XIII, Purgatorio
XIV, Purgatorio XV, Purgatorio
XVI, Purgatorio XVII, Purgatorio
XVIII, Purgatorio XIX, Purgatorio
XX, Purgatorio XXI, Purgatorio
XXII, Purgatorio XXIII, Purgatorio
XXIV, Purgatorio XXV, Purgatorio
XXVI, Purgatorio XXVII, Purgatorio
XXVIII, Purgatorio
XXIX, Purgatorio XXX, Purgatorio XXXI, Purgatorio XXXII, Purgatorio XXXIII
Paradiso I, Paradiso II, Paradiso III, Paradiso IV, Paradiso V,
Paradiso VI, Paradiso VII, Paradiso VIII, Paradiso IX, Paradiso X, Paradiso XI, Paradiso XII, Paradiso XIII, Paradiso XIV, Paradiso XV, Paradiso XVI, Paradiso XVII, Paradiso XVIII, Paradiso XIX, Paradiso XX, Paradiso XXI, Paradiso XXII, Paradiso XXIII, Paradiso XXIV, Paradiso XXV, Paradiso XXVI, Paradiso XXVII, Paradiso XXVIII, Paradiso XXIX, Paradiso XXX, Paradiso XXXI, Paradiso XXXII, Paradiso XXXIII
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