'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice, Richard Holloway, Akita Noek

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Cielo Stellate



DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. PARADISO XXIII



Londra, British Library, Yates Thompson 36, fol. 170
 

ome l'augello, intra l'amate fronde,
posato al nido de' suoi dolci nati
   la notte che le cose ci nasconde,

  che, per veder li aspetti disïati
  e per trovar lo cibo onde li pasca,
  in che gravi labor li sono aggrati,

7   previene il tempo in su aperta frasca,
  e con ardente affetto il sole aspetta,
  fiso guardando pur che l'alba nasca;

10   così la donna mïa stava eretta
  e attenta, rivolta inver' la plaga
  sotto la quale il sol mostra men fretta:

13   sì che, veggendola io sospesa e vaga,
  fecimi qual è quei che disïando
  altro vorria, e sperando s'appaga.

16   Ma poco fu tra uno e altro quando,
  del mio attender, dico, e del vedere
  lo ciel venir più e più rischiarando;

19   e Bëatrice disse: «Ecco le schiere
  del trïunfo di Cristo e tutto 'l frutto
  ricolto del girar di queste spere!».

22   Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto,
  e li occhi avea di letizia sì pieni,
  che passarmen convien sanza costrutto.

25   Quale ne' plenilunïi sereni
  Trivïa ride tra le ninfe etterne
  che dipingon lo ciel per tutti i seni,

28   vid' i' sopra migliaia di lucerne 
  un sol che tutte quante l'accendea,
  come fa 'l nostro le viste superne;
                                                                                                          

31   e per la viva luce trasparea 
  la lucente sustanza tanto chiara
  nel viso mio, che non la sostenea.

34   Oh Bëatrice, dolce guida e cara! 
  Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
  è virtù da cui nulla si ripara.

37   Quivi è la sapïenza e la possanza 
  ch'aprì le strade tra 'l cielo e la terra,
  onde fu già sì lunga disïanza».

40   Come foco di nube si diserra  
  per dilatarsi sì che non vi cape,
  e fuor di sua natura in giù s'atterra,

43   la mente mia così, tra quelle dape 
  fatta più grande, di sé stessa uscìo,
  e che si fesse rimembrar non sape.

46   «Apri li occhi e riguarda qual son io; 
  tu hai vedute cose, che possente
  se' fatto a sostener lo riso mio».

49   Io era come quei che si risente 
  di visïone oblita e che s'ingegna
  indarno di ridurlasi a la mente,

52   quand' io udi' questa proferta, degna
  di tanto grato, che mai non si stingue
  del libro che 'l preterito rassegna.

55   Se mo sonasser tutte quelle lingue
  che Polimnïa con le suore fero
  del latte lor dolcissimo più pingue,

58   per aiutarmi, al millesmo del vero
  non si verria, cantando il santo riso
  e quanto il santo aspetto facea mero;

61   e così, figurando il paradiso,
  convien saltar lo sacrato poema,
  come chi trova suo cammin riciso.

64  Ma chi pensasse il ponderoso tema 
  e l'omero mortal che se ne carca,
  nol biasmerebbe se sott' esso trema:

67   non è pareggio da picciola barca 
  quel che fendendo va l'ardita prora,
  né da nocchier ch'a sé medesmo parca.

70   «Perché la faccia mia sì t'innamora,
  che tu non ti rivolgi al bel giardino
  che sotto i raggi di Cristo s'infiora?

73   Quivi è la rosa in che 'l verbo divino 
  carne si fece; quivi son li gigli
  al cui odor si prese il buon cammino».

76   Così Beatrice; e io, che a' suoi consigli
  tutto era pronto, ancora mi rendei
  a la battaglia de' debili cigli.

79   Come a raggio di sol, che puro mei 
  per fratta nube, già prato di fiori
  vider, coverti d'ombra, li occhi miei;

82   vid' io così più turbe di splendori,
  folgorate di sù da raggi ardenti,
  sanza veder principio di folgóri.

85   O benigna vertù che sì li 'mprenti,
  sù t'essaltasti, per largirmi loco
  a li occhi lì che non t'eran possenti.

88   Il nome del bel fior ch'io sempre invoco
  e mane e sera, tutto mi ristrinse
  l'animo ad avvisar lo maggior foco;

91   e come ambo le luci mi dipinse
  il quale e il quanto de la viva stella
  che là sù vince come qua giù vinse,

94   per entro il cielo scese una facella,
  formata in cerchio a guisa di corona,
  e cinsela e girossi intorno ad ella.
                                                                                                      

97   Qualunque melodia più dolce suona 
  qua giù e più a sé l'anima tira,
  parrebbe nube che squarciata tona,

100   comparata al sonar di quella lira
  onde si coronava il bel zaffiro
  del quale il ciel più chiaro s'inzaffira.

103   «Io sono amore angelico, che giro
  l'alta letizia che spira del ventre
  che fu albergo del nostro disiro;

106   e girerommi, donna del ciel, mentre
  che seguirai tuo figlio, e farai dia
  più la spera suprema perché lì entre».

109   Così la circulata melodia
  si sigillava, e tutti li altri lumi
  facean sonare il nome di Maria.

121   Lo real manto di tutti i volumi
  del mondo, che più ferve e più s'avviva
  ne l'alito di Dio e nei costumi,

124   avea sopra di noi l'interna riva
  tanto distante, che la sua parvenza,
  là dov' io era, ancor non appariva:

127   però non ebber li occhi miei potenza
  di seguitar la coronata fiamma
  che si levò appresso sua semenza.

130   E come fantolin che 'nver' la mamma
  tende le braccia, poi che 'l latte prese,
  per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma;
                                                                                                           

133   ciascun di quei candori in sù si stese
  con la sua cima, sì che l'alto affetto
  ch'elli avieno a Maria mi fu palese.

                                                                            

136   Indi rimaser lì nel mio cospetto,
  `Regina celi' cantando sì dolce,
  che mai da me non si partì 'l diletto. 

138   Oh quanta è l'ubertà che si soffolce
  in quelle arche ricchissime che fuoro
  a seminar qua giù buone bobolce!

142   Quivi si vive e gode del tesoro
  che s'acquistò piangendo ne lo essilio
  di Babillòn, ove si lasciò l'oro.

145   Quivi trïunfa, sotto l'alto Filio
  di Dio e di Maria, di sua vittoria,
  e con l'antico e col novo concilio,

148   colui che tien le chiavi di tal gloria.





Londra, British Library, Yates Thompson 36, fol. 171




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