'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice

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Anti-Purgatorio



DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. PURGATORIO III


vvegna che la subitana fuga  
dispergesse color per la campagna,
    rivolti al monte ove ragion ne fruga,

  i' mi ristrinsi a la fida compagna:   
   e come sare' io sanza lui corso?
   chi m'avria tratto su per la montagna?

  El mi parea da sé stesso rimorso: 
   o dignitosa coscïenza e netta,
   come t'è picciol fallo amaro morso!

10   Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
  che l'onestade ad ogn' atto dismaga,
  la mente mia, che prima era ristretta,

13   lo 'ntento rallargò, sì come vaga,  
  e diedi 'l viso mio incontr' al poggio
  che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.

16   Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio, 
  rotto m'era dinanzi a la figura,
  ch'avëa in me de' suoi raggi l'appoggio.

19   Io mi volsi dallato con paura   
  d'essere abbandonato, quand' io vidi
  solo dinanzi a me la terra oscura;

22   e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,  
  a dir mi cominciò tutto rivolto;
  «non credi tu me teco e ch'io ti guidi?

25   Vespero è già colà dov' è sepolto  
  lo corpo dentro al quale io facea ombra;
  Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.

28   Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
  non ti maravigliar più che d'i cieli
  che l'uno a l'altro raggio non ingombra.

31   A sofferir tormenti, caldi e geli 
  simili corpi la Virtù dispone
  che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.

34  Matto è chi spera che nostra ragione
  possa trascorrer la infinita via
  che tiene una sustanza in tre persone.

37   State contenti, umana gente, al quia;
  ché, se potuto aveste veder tutto,
  mestier non era parturir Maria;

40   e disïar vedeste sanza frutto  
  tai che sarebbe lor disio quetato,
  ch'etternalmente è dato lor per lutto:

43   io dico d'Aristotile e di Plato  
  e di molt' altri»; e qui chinò la fronte,
  e più non disse, e rimase turbato.

46   Noi divenimmo intanto a piè del monte;
  quivi trovammo la roccia sì erta,
  che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.                                                                      

49   Tra Lerice e Turbìa la più diserta,  
  la più rotta ruina è una scala,
  verso di quella, agevole e aperta.
                                                                                
       

52   «Or chi sa da qual man la costa cala», 
  disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
  «sì che possa salir chi va sanz' ala?».

55   E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso 
  essaminava del cammin la mente,
  e io mirava suso intorno al sasso,

58   da man sinistra m'apparì una gente  
  d'anime, che movieno i piè ver' noi,
  e non pareva, sì venïan lente.
                                                                                                              

61   «Leva», diss' io, «maestro, li occhi tuoi:
  ecco di qua chi ne darà consiglio,
  se tu da te medesmo aver nol puoi».

64   Guardò allora, e con libero piglio   
  rispuose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano;
  e tu ferma la spene, dolce figlio».

67   Ancora era quel popol di lontano,  
  i' dico dopo i nostri mille passi,
  quanto un buon gittator trarria con mano,

70   quando si strinser tutti ai duri massi
  de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
  com' a guardar, chi va dubbiando, stassi.

73   «O ben finiti, o già spiriti eletti»,  
  Virgilio incominciò, «per quella pace
  ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,

76   ditene dove la montagna giace,
  sì che possibil sia l'andare in suso;
  ché perder tempo a chi più sa più spiace».

79   Come le pecorelle escon del chiuso
  a una, a due, a tre, e l'altre stanno
  timidette atterrando l'occhio e 'l muso;

82   e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
  addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
  semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;

85   sì vid' io muovere a venir la testa 
  di quella mandra fortunata allotta,
  pudica in faccia e ne l'andare onesta.

88   Come color dinanzi vider rotta  
  la luce in terra dal mio destro canto,
  sì che l'ombra era da me a la grotta,

91   restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
  e tutti li altri che venieno appresso,
  non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.

94   «Sanza vostra domanda io vi confesso
  che questo è corpo uman che voi vedete;
  per che 'l lume del sole in terra è fesso.

97   Non vi maravigliate, ma credete 
  che non sanza virtù che da ciel vegna
  cerchi di soverchiar questa parete».

100  Così 'l maestro; e quella gente degna
  «Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
  coi dossi de le man faccendo insegna.

103   E un di loro incominciò: «Chiunque
  tu se', così andando, volgi 'l viso:
  pon mente se di là mi vedesti unque».
                                                                                                              

106   Io mi volsi ver' lui e guardail fiso:
  biondo era e bello e di gentile aspetto,
  ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.

109   Quand' io mi fui umilmente disdetto
  d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
  e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.
                                                                                     
112   Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
  nepote di Costanza imperadrice;
  ond' io ti priego che, quando tu riedi,

115   vadi a mia bella figlia, genitrice
  de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
  e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.

118   Poscia ch'io ebbi rotta la persona 
  di due punte mortali, io mi rendei,
  piangendo, a quei che volontier perdona.

121   Orribil furon li peccati miei;
  ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
  che prende ciò che si rivolge a lei.

124   Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
  di me fu messo per Clemente allora,
  avesse in Dio ben letta questa faccia,                                                                               

127   l'ossa del corpo mio sarieno ancora
  in co del ponte presso a Benevento,
  sotto la guardia de la grave mora.
                                                                                    

130   Or le bagna la pioggia e move il vento 
  di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
  dov' e' le trasmutò a lume spento.

133   Per lor maladizion sì non si perde, 
  che non possa tornar, l'etterno amore,
  mentre che la speranza ha fior del verde.

136   Vero è che quale in contumacia more 
  di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
  star li convien da questa ripa in fore,

139   per ognun tempo ch'elli è stato, trenta, 
  in sua presunzïon, se tal decreto
  più corto per buon prieghi non diventa.

142   Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
  revelando a la mia buona Costanza
  come m'hai visto, e anco esto divieto;

145   ché qui per quei di là molto s'avanza».



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