'Dante vivo' 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli

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Marte



DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. PARADISO XV


Londra, British Library, Yates Thompson 36, fol. 155


enigna volontade in che si liqua  
sempre l'amor che drittamente spira,
   come cupidità fa ne la iniqua,

  silenzio puose a quella dolce lira,
  e fece quïetar le sante corde
  che la destra del cielo allenta e tira.

  Come saranno a' giusti preghi sorde
  quelle sustanze che, per darmi voglia
  ch'io le pregassi, a tacer fur concorde?

10   Bene è che sanza termine si doglia
  chi, per amor di cosa che non duri
  etternalmente, quello amor si spoglia.

13   Quale per li seren tranquilli e puri 
  discorre ad ora ad or sùbito foco,
  movendo li occhi che stavan sicuri,

                                                                                                                                                                                                                               

16   e pare stella che tramuti loco,
  se non che da la parte ond' e' s'accende
  nulla sen perde, ed esso dura poco:

19   tale dal corno che 'n destro si stende
  a piè di quella croce corse un astro
  de la costellazion che lì resplende;

22   né si partì la gemma dal suo nastro,
  ma per la lista radïal trascorse,
  che parve foco dietro ad alabastro.

25   Sì pïa l'ombra d'Anchise si porse,
  se fede merta nostra maggior musa,
  quando in Eliso del figlio s'accorse.                                            

28   «O sanguis meus, o superinfusa 
  gratïa Deï, sicut tibi cui
  bis unquam celi ianüa reclusa?
».

31   Così quel lume: ond' io m'attesi a lui;
  poscia rivolsi a la mia donna il viso,
  e quinci e quindi stupefatto fui;

34   ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
  tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo
  de la mia gloria e del mio paradiso.

37   Indi, a udire e a veder giocondo,
  giunse lo spirto al suo principio cose,
  ch'io non lo 'ntesi, sì parlò profondo;
                                                                                                                  

40   né per elezïon mi si nascose, 
  ma per necessità, ché 'l suo concetto
  al segno d'i mortal si soprapuose.

43   E quando l'arco de l'ardente affetto
  fu sì sfogato, che 'l parlar discese
  inver' lo segno del nostro intelletto,

46   la prima cosa che per me s'intese,
  «Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
  che nel mio seme se' tanto cortese!».

49   E seguì: «Grato e lontano digiuno, 
  tratto leggendo del magno volume
  du' non si muta mai bianco né bruno,

52   solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
  in ch'io ti parlo, mercè di colei
  ch'a l'alto volo ti vestì le piume.

55   Tu credi che a me tuo pensier mei
  da quel ch'è primo, così come raia
  da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei;

58   e però ch'io mi sia e perch' io paia
  più gaudïoso a te, non mi domandi,
  che alcun altro in questa turba gaia.

61  Tu credi 'l vero; ché i minori e ' grandi
  di questa vita miran ne lo speglio
  in che, prima che pensi, il pensier pandi;

64   ma perché 'l sacro amore in che io veglio
  con perpetüa vista e che m'asseta
  di dolce disïar, s'adempia meglio,

67   la voce tua sicura, balda e lieta 
  suoni la volontà, suoni 'l disio,
  a che la mia risposta è già decreta!».

70   Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
  pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno
  che fece crescer l'ali al voler mio.

73   Poi cominciai così: «L'affetto e 'l senno,
  come la prima equalità v'apparse,
  d'un peso per ciascun di voi si fenno,

76   però che 'l sol che v'allumò e arse,
  col caldo e con la luce è sì iguali,
  che tutte simiglianze sono scarse.

79  Ma voglia e argomento ne' mortali,
  per la cagion ch'a voi è manifesta,
  diversamente son pennuti in ali;

82   ond' io, che son mortal, mi sento in questa
  disagguaglianza, e però non ringrazio
  se non col core a la paterna festa.

85   Ben supplico io a te, vivo topazio
  che questa gioia prezïosa ingemmi,
  perché mi facci del tuo nome sazio».
                                                                                                                   

88   «O fronda mia in che io compiacemmi 
  pur aspettando, io fui la tua radice»:
  cotal principio, rispondendo, femmi.

91   Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
  tua cognazione e che cent' anni e piùe
  girato ha 'l monte in la prima cornice,

94  mio figlio fu e tuo bisavol fue:
  ben si convien che la lunga fatica
  tu li raccorci con l'opere tue.

97   Fiorenza dentro da la cerchia antica,
  ond' ella toglie ancora e terza e nona,
  si stava in pace, sobria e pudica.
                                                                                              

100   Non avea catenella, non corona,
  non gonne contigiate, non cintura
  che fosse a veder più che la persona.

103   Non faceva, nascendo, ancor paura
  la figlia al padre, che 'l tempo e la dote
  non fuggien quinci e quindi la misura.

106   Non avea case di famiglia vòte; 
  non v'era giunto ancor Sardanapalo
  a mostrar ciò che 'n camera si puote.

109   Non era vinto ancora Montemalo
  dal vostro Uccellatoio, che, com' è vinto
  nel montar sù, così sarà nel calo.

112   Bellincion Berti vid' io andar cinto 
  di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio
  la donna sua sanza 'l viso dipinto;

115   e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio
  esser contenti a la pelle scoperta,
  e le sue donne al fuso e al pennecchio.

118   Oh fortunate! ciascuna era certa
  de la sua sepultura, e ancor nulla
  era per Francia nel letto diserta.

121   L'una vegghiava a studio de la culla,
  e, consolando, usava l'idïoma
  che prima i padri e le madri trastulla;

                                                     
      

124   l'altra, traendo a la rocca la chioma,
  favoleggiava con la sua famiglia
  d'i Troiani, di Fiesole e di Roma.

127   Saria tenuta allor tal maraviglia
  una Cianghella, un Lapo Salterello,
  qual or saria Cincinnato e Corniglia.

130   A così riposato, a così bello
  viver di cittadini, a così fida
  cittadinanza, a così dolce ostello,

133   Maria mi diè, chiamata in alte grida;
  e ne l'antico vostro Batisteo
  insieme fui cristiano e Cacciaguida.

136   Moronto fu mio frate ed Eliseo;
  mia donna venne a me di val di Pado,
  e quindi il sopranome tuo si feo.

139   Poi seguitai lo 'mperador Currado; 
  ed el mi cinse de la sua milizia,
  tanto per bene ovrar li venni in grado.

142   Dietro li andai incontro a la nequizia
  di quella legge il cui popolo usurpa,
  per colpa d'i pastor, vostra giustizia.

145   Quivi fu' io da quella gente turpa
  disviluppato dal mondo fallace,
  lo cui amor molt' anime deturpa;

148   e venni dal martiro a questa pace».




Londra, British Library, Yates Thompson 36, fol. 156


1 Guelf Brunetto's family came from Fiesole, specifically from Lastra. His father seems to have handed down much Roman history to him, and from him to Dante.


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